I Comuni debbono versare le componenti perequative della Tari in base a quanto riscosso e non in base a quanto accertato. Questa è la conclusione, assolutamente condivisibile, cui è giunta la Sezione di controllo per la Liguria con le delibere “gemelle” nn. 4 e 5 del 2025.

Due Comuni liguri, tramite il Consiglio delle Autonomie locali, hanno richiesto un parere, in base all’articolo 7, comma 8, della legge 131/2003, in ordine alle corrette modalità di riversamento e contabilizzazione in bilancio delle componenti perequative della Tari istituite da Arera con delibera n. 386 del 2023.
Nello specifico è stato richiesto:
• se sia legittimo considerare il valore incassato a titolo di componenti perequative Tari per ciascuna utenza come importo da riversare alla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali (Csea), evitando così l’anticipo, a carico delle casse comunali, sia in termini di competenza sia di cassa, di somme in favore di Csea, in assenza della certezza dell’integrale copertura delle stesse a causa dell’incidenza della dubbia esigibilità di una parte delle entrate Tari e delle possibili variazioni diminutive dei valori “bollettati”, e dunque accertati, per effetto delle variazioni dichiarabili dai contribuenti entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello dell’emissione dei “bollettini” Tari, quindi successivamente al termine del 15 marzo per il versamento a Csea;
• se l’imputazione delle somme derivanti dall’applicazione delle componenti perequative Tari debba avvenire al Titolo III delle entrate correnti oppure tra le entrate in partite di giro, tenendo presente che nel secondo caso potrebbe non esserci l’equivalenza tra cassa e competenza.
Preliminarmente va ricordato che, con la delibera n. 386 del 2023, Arera ha istituito due componenti perequative da versare a Csea, da applicare a titolo di maggiorazione della Tari o della tariffa corrispettiva, per la copertura costi non imputabili al Piano Economico Finanziario della gestione dei rifiuti urbani.
A decorrere dal 2024, le voci di costo da aggiungere alla Tari sono la componente UR1 relativa alla gestione dei rifiuti accidentalmente pescati e la componente UR2 per la copertura dei costi per la gestione dei rifiuti per eventuali eventi eccezionali e calamitosi.
La Sezione Liguria precisa che la prima voce trova fondamento nell’articolo 2 della legge 60/2022; la seconda voce, invece, non trova diretto fondamento in provvedimenti di livello legislativo. Le rispettive risorse devono affluire in due distinti conti istituiti presso Csea.
L’Arera prevede poi che gli operatori del settore rifiuti trasmettano a Csea, entro il 31 gennaio, la dichiarazione degli importi concernenti le componenti perequative. Gli stessi operatori dovranno versare a Csea, entro il 15 marzo, gli importi a debito derivanti dalle dichiarazioni.
I pareri richiesti, a fronte di quanto sopra riportato, mirano a chiarire se i Comuni debbano versare entro il 15 marzo gli importi calcolati sull’accertato o sull’effettivamente riscosso.
Per rispondere ai quesiti, la Corte parte dalla ricostruzione del rapporto obbligatorio relativo alla componente perequativa, che, a differenza del Tributo per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell’ambiente (articolo 19 del decreto legislativo 504/1992) di spettanza delle Province (TEFA1), non rappresenta una maggiorazione della Tari, bensì una voce di entrata aggiuntiva a copertura dei costi individuati nella delibera Arera n. 386/23. Questo rapporto obbligatorio di tipo civilistico è caratterizzato da un creditore (Csea) e da un debitore (il titolare dell’utenza), che estingue l’obbligazione, in base all’articolo 1188 del codice civile, mediante il pagamento al Comune della Tari. Il Comune, dunque, non è il soggetto passivo dell’obbligazione.
Per i magistrati contabili, le componenti perequative rappresentano una prestazione patrimoniale imposta, la cui fonte, nel rispetto dell’articolo 23 della Costituzione, deve necessariamente essere una norma di legge, ma, indipendentemente dalla natura giuridica della prestazione, il soggetto passivo resta comunque il titolare dell’utenza. Il Comune, invece, essendo estraneo al rapporto, non è responsabile del pagamento in luogo del debitore originario.
In merito alle modalità di riscossione, in assenza del codice tributo in favore di Csea, il Comune dovrà richiedere le somme ai contribuenti con la bollettazione Tari e incassarle nel proprio bilancio, ma non potrà essere ritenuto il reale beneficiario delle relative entrate.
Richiamando un parere del Mef (RGS-SIOPE) del 1° luglio 2024, la Corte afferma che queste entrate, poiché non vanno a modificare il patrimonio dell’ente, ma rappresentano semplicemente un flusso di cassa che transita nel bilancio comunale, devono risultare neutre nel bilancio stesso e, di conseguenza, devono essere imputate alle partite di giro. I servizi per conto di terzi e le partite di giro, difatti, comprendono le transazioni realizzate per conto di altri soggetti in assenza di qualsiasi discrezionalità e autonomia decisionale da parte dell’ente.
I Comuni non essendo né i beneficiari, né i debitori delle prestazioni oggetto delle componenti perequative istituite da Arera, pertanto, devono effettuare il riversamento a Csea solo delle somme effettivamente riscosse. A favore di tale soluzione militano non solo ragioni di diritto, ma anche logiche di natura contabile riguardo alla tenuta degli equilibri di bilancio sia in termini di competenza sia di cassa. Se il Comune dovesse riversare sulla base dell’accertato, fungendo sostanzialmente da cassa per Csea, difatti, si troverebbe ad anticipare somme relative a una entrata che potrebbe non verificarsi, con evidenti ricadute negative sui bilanci e possibile emersione di disavanzi “dalle partite di giro”. L’anticipazione delle somme, inoltre, inciderebbe sulla già scarsa liquidità di cassa di molti Comuni compromettendo, tra l’altro, il raggiungimento dell’obiettivo del Pnrr relativo al rispetto dei tempi di pagamento delle transazioni commerciali.
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